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Israele naviga nel gas

Il sabato, in Israele, è giorno di festa, ma sabato scorso a festeggiare non sono stati soltanto i fedeli. Il 30 Marzo, il Presidente israeliano Netanyahu ha annunciato l’apertura del nuovo sito di prelievo di gas denominato “Tamar”, a circa 90 km dalle coste israeliane. Sembrerebbe un fatto di ordinaria routine, non fosse altro che il giacimento di Tamar risulta essere immenso, alcune voci parlano di 238 miliardi di metri cubi di gas naturale, e che a poche miglia di distanza è stato registrato un altro giacimento, nominato non a caso “Leviathan” e stimato addirittura attorno ai 450 miliardi di metri cubi. Scoperte, queste, che consentirebbero allo Stato mediorientale di soddisfare il fabbisogno energetico per parecchi anni, con la possibilità, per il Paese, di poter esportare e diventare una superpotenza a livello energetico, al pari delle altre realtà asiatiche. L’attivazione dei siti ha un duplice significato, infatti, se da un lato serve a far ingrassare le oligarchie industriali, che ruotano attorno alle risorse mediorientali, dall’altro serve a far bello il Premier, da pochi mesi in carica del secondo mandato e che proprio alle ultime elezioni era stato ad un passo dal perdere la poltrona da Primo Ministro della “civile democrazia del Medio Oriente”. Un’altra particolarità da sottolineare è il fatto che i cittadini israeliani non usufruiranno, perlomeno in un primo tempo, delle fortune ricavate dalla vendita delle nuove risorse, anzi si vedranno i prezzi dell’energia salire vertiginosamente (6.5% in più). La scusa, che si trasforma in un mero pretesto di istigazione al conflitto, è quella del risarcimento delle tasse non pagate dai palestinesi, considerati concittadini solo al momento di fare i conti. La notizia della scoperta di nuovi siti di prelievo ha suscitato diversi malumori anche tra i Paesi limitrofi, in primo luogo l’Egitto, che si ritrova a fare la concorrenza ad un Paese che fino al 2012 era in cima alla lista dei clienti per le esportazioni. Poi è stata la volta della Turchia: la vicina isola di Cipro ha infatti stilato un patto economico con Gerusalemme riguardo agli interessi sul gas, senza prima avvertire Ankara, la quale è l’unica a riconoscere, nell’isola, uno Stato subalterno al potere turco, denominato “Repubblica di Cipro del Nord”, e che per questo motivo si sente tradita. Infine il confinante Libano, che contesta allo Stato ebraico la sovranità sulle acque che si trovano in corrispondenza dei giacimenti e ne pretende la supremazia. Israele nel frattempo si arma.

 

Giuseppe Cugnata

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