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Requiem per la Sinistra?

Analisi

Quando su questo nostro foglio elettronico scrivevamo lunghe cavalcate di parole, ci si faceva notare che la gente non le vuole leggere interamente, che conveniva ridurci al trotto, forse anche solo a un paio di righe. Dovevamo appiattirci sul breve periodo della notizia. Ci si faceva notare, inoltre, che, spesso, eravamo intenti a scrivere di cose noiose, come la politica, percepita come un corpo esterno da moltissimi ragazzi. “Non ho tempo” mi è rimasta in mente come la scusa più fruibile per la pigrizia, indotta o no, di masse di ragazzini con il cellulare perennemente in mano, impegnati nel controllo del gossip o del calciomercato. L’Italia- e qui il punto cui voglio arrivare- è un paese che non ama leggere, non ama l’approfondimento ed è per metà analfabeta digitale. Se poi è vero che il quotidiano cartaceo è letto da meno della metà degli Italiani, è anche vero che più del 50% di loro hanno difficoltà a comprendere l’informazione scritta. Le conseguenze? Non si va a votare secondo cervello, ma molto secondo la pancia. In sostanza, ciò equivale a tenere sempre la porta aperta alla dittatura. Si parte, quindi, già svantaggiati, se si vuole puntare su qualcosa di diverso.

 

Tentativi e disfatte

La capacità di essere populisti, di parlare alla massa, di fare collante con la gente, ha stimolato la ricerca spasmodica di un leader, che potesse risollevare le sorti della sinistra radicale. Oppure di un caprio espiatorio che si immolasse sui cinque anni di tentativi mal azzeccati, facendo dimenticare le rovinose vicende dei partiti che avevano composto la fu Sinistra Arcobaleno. Ora, se vi fosse stato un leader carismatico, eccezionale e portentoso, non avrebbe comunque vinto. Va bene che gli Italiani votano di pancia, ma è anche vero che il carisma non basta.

Nichi Vendola, fino al 2008, era destinato a riunire tutto ciò che stava a sinistra di Prodi e portarlo al governo. Sarà stato il suo atteggiamento o quello dei suoi comprimari, che gli fecero perdere un congresso di Rifondazione Comunista- non tutte le ciambelle riescono col buco-, ma la sua forza di traino si è esaurita, si è spenta come un’onda sulle scogliere del centrismo, quasi dovesse essere lui il capo di una corrente del Partito Democratico. Certo, se magari avesse rinunciato a cucirsi un partito su persona, ad andare da solo, a fare di testa propria, magari sarebbe andata diversamente. Ma così non è stato. Oggi, ne paga le conseguenze. Bello spreco.

La Federazione della Sinistra si potrebbe riassumere in sinistrese come “una piattaforma unita e plurale che guarda all’antiliberismo che sta a monte del problema”. Ne facevano parte Socialismo 2000 di Cesare Salvi (ex Ds), Pdci, Prc, Lavoro-Solidarietà. La prima e l’ultima tenteranno la fusione nel Partito del Lavoro nel settembre 2011. Seppure questa aggregazione aveva avuto qualche discreta affermazione alle amministrative 2011 e alle comunali 2012, le primarie del Pd sono riuscite a metterla in crisi. Così, la FdS o Fed o come la si vuol chiamare, si sfascia per la ragionevole forza centripeda delle primarie, pur essendo umilmente ammessa alla gestione del comune di Napoli, Milano e Palermo.
Quando Diliberto, Pdci, e le componenti del Partito del Lavoro hanno deciso di appoggiare Nichi Vendola alle primarie, il progetto tanto osannato è andato in pezzi. In più, quando Nichi ha perso, il Pdci ha voluto appoggiare Bersani al turno successivo della competizione- come già aveva previsto, in caso di sconfitta di Vendola-. Questo atteggiamento schizofrenico, che prima dice peste e corna di una fazione e poi ne cerca l’alleanza, non ha galvanizzato le ultime risorse dei partiti radicali. Ancora di più, la faccenda si è fatta ridicola nella costruzione di Rivoluzione Civile insieme a Diliberto. Emblematico il caso di contestazione ad Orazio Licandro da parte della Fgci locale di Catania, che dovrebbe farci riflettere sullo scollamento tra base e dirigenti in un micropartito, in una microarea.

Rivoluzione Civile mette insieme Verdi, Prc, Movimento Arancione, Idv, Pdci. Li mette insieme fine dicembre, a due mesi dalle elezioni. Un modo per correre ai ripari, sembrerebbe. Un bel progetto, a una seconda lettura. Un’altra Sel, ma con a capo un magistrato, secondo i meno convinti. Sbirri e magistrati, senza falce e martello, per chi non ha gradito la cosa. Tra Rivoluzione e la Federazione c’è di mezzo l’esperimento Cambiare si può, tutto basato sulla società civile, che è sembrato essere il soggetto candidabile, ma poi è servito solo a dare manforte a Ingroia o così avrebbe dovuto fare. Nella fattispecie, a Paul Ginsborg (Alba) non è mai piaciuta l’ingerenza di Rifondazione e i rapporti si sono incrinati con facilità.
La campagna stampa contro Antonio Ingroia è stata considerevole e la campagna elettorale è stata mal gestita. Più volte si è evidenziata l’impossibile coabitazione tra l’Idv e il Prc, che nei territori ha prodotto esperienze splendide, ma qui ha dato solo grane. Di Pietro, inoltre, non partiva bene, visti gli effetti deterrenti della famosa inchiesta di Report sul suo partito. L’Idv avrebbe posto il veto sulla candidatura di Vittorio Agnoletto, proposta da Cambiare si può, tanto per dirne un’altra. Cambiare si può, dal canto suo, non ha digerito la candidatura di Favia, ex M5S. Non si è poi capito perché si continuava a guardare a Bersani, quando gli elettori non l’avevano per niente a cuore. Insomma, si è fatto di tutto per perdere e persino Bertinotti ha dovuto dire qualcosa contro la mancanza di discontinuità con il passato. E se a un eroe della Repubblica come Ingroia si contesta ancora di aver fatto la “foglia di fico” (espressione di per sé brutta), ai dirigenti dei partiti si è chiesta direttamente la testa: tutti sulla via delle dimissioni o già dimessi.
Dopo i risultati elettorali, il Pdci è sembrato sviare da ipotesi di fusione. Il Prc sembra, invece, interessato a un Polo antiliberista- che non è una novità-. Del martirizzato Antonio Ingroia non si conosce ancora la volontà. De Magistris, capo del Movimento Arancione, ha già fatto il funerale alla compagine. Tutti guardano con occhio più o meno benevolo a Grillo, che dovrà dimostrare adesso quanto valga il suo modello, incentrato sulla gente comune e sulla sempre gloriosa società civile. Intanto, eccetto il caso dell’Università estiva della Sinistra Europea, non ci sono organi di formazione dei quadri di partito. E della forma-partito non ci resta molto altro di funzionale. I sinistrorsi soffrono le manganellate nei movimenti, vedi il No Muos, ma non trovano un centro di gravità che catalizzi i loro sforzi: perché gli sforzi, città e campagne, si fanno ancora, sono immani e portano a risultati soddisfacenti. Insomma, sembra che tutti i dirigenti, che non hanno avuto polso sufficiente, ma che si sono indubbiamente sacrificati, sono ancora prigionieri di modelli antichi e sono come convinti che le loro utopie siano scomode e insignificanti: è anche una questione di equilibrio tra autostima ed umiltà.
I modelli non mancano. Si veda un esempio piccolo e umile- per l’appunto- come quello del minuscolo e inquinato comune di Palagonia, con in testa un trentenne Valerio Marletta e un ventenne Salvo Grasso, facciano da modello per tutta l’area: qua si è sconfitta l’amministrazione che per decenni non aveva impedito il patto tra classi dirigenti e mafia, qua si va avanti contro tutti i problemi dell’indebitamento municipale, qua  e in tutta la zona si valorizzano, in un modo o nell’altro, le radici rurali e culturali dei Siciliani. Da laboratori come quello del Palazzo Bene Comune del piccolo comune calatino di Scordia, a pochi chilometri da Palagonia, si deve cominciare a ricostruire, mettendo in primo piano i significati nuovi che vengono dal mondo della decrescita felice: un modo di fare politica che non scende a compromessi e che parte dalla testa. E la pancia? Non se la fanno mancare, a quanto pare.

Gli elettori non ci hanno capito un tubo

E’ stato difficile spiegare che cosa e come stesse agendo la sinistra radicale agli elettori. Alcuni non hanno proprio capito che, dietro Ingroia, vi fossero i comunisti. Altri hanno capito solo quello. Altri ancora si sono chiesti che fine avesse fatto il logo “falce e martello”. Le istanze legalitarie hanno cozzato con tutti i ghirigori del conflitto interno alle componenti di lista: insomma, non si ci è capito un tubo. Molti hanno votato per simpatia. Altri, in tanti, hanno votato il movimento che portava avanti temi ambientalisti e civili già promossi dalla sinistra negli ultimi vent’anni, ovvero il Movimento 5 Stelle.
Alla luce di quanto detto sopra, nel capitolo “Analisi”, è possibile credere che milioni di Italiani possano seguire tutti gli stravolgimenti della sinistra de facto extraparlamentare?

 

Giulio Pitroso

One Comment

  1. Claudio Colletti Claudio Colletti 02/03/2013

    No, noi non ci stiamo. Non cantiamo un requiem, non è costruttivo. Parliamo di ristrutturazione. Usciamo dai soliti schemi di partito, adatti ad una società pre-muro di Berlino, oggi non più attuali.

    Se usciamo dai salotti e uniamo le persone, partendo come giustamente dite dai piccoli territori penso che potremo ricostruire qualcosa di buono. Proposta e non solo protesta deve essere il nostro motto.

    a Gravina ci stiamo provando!!!

    Claudio x LiberaGravina

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