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Perché Bob Marley è anche un simbolo dell’antimafia

Lo stereotipo

Lo hanno imprigionato in uno stereotipo, quello del buon selvaggio, allegro e divertito dalla vita, un godereccio fumatore d’erba che faceva il ribelle come uno dei tanti hippy del periodo. Ma non è così. La complessità della storia di Robert Nesta Marley, che il 6 febbraio del 2013 avrebbe compiuto 68 anni, lascia spazi a fraintendimenti, è vero; ma c’è chi di misunderstanding vive, un po’ per vigliaccheria, un po’ per speculazione, proprio sulla pelle di soggetti complessi e borderline. Perché Robert, sin dalla nascita, è stato un escluso, mezzo bianco e mezzo nero, in un mondo dove il razzismo era ancora legge esplicita e sfruttamento palese. E’ stato un uomo a metà fra mondi diversi: operaio in fabbrica e naturalista, guerriero per la pace, un po’ rock e un po’ traditional.

Ma tutto questo non lo si comprende in un soffio. Così, Marley, che è stato il megafono della religione Rasta, su convinzioni che metterebbero in crisi il suo mito agli occhi di tanti hippy occidentali, viene denigrato da una rivista ultracattolica, che parla di un “tossico che pensava di essere come Gesù”. Certo, è un caso limite, ma fa il paio con chi di Mr. Marley vuole ricordare i presunti 300 kg di erba in 30 anni circa d’esistenza. Il che è un po’ la solita forzatura esotica della cultura piccolo-borghese (vedi “Bichon fra i negri”, Roland Barthes).

 

Ambush in the night

L’impegno di Bob Marley per la pace è passato per un’azione di recupero morale dei rudeboys e della gente di strada, un’azione, per così dire, di politica interna; non c’era, insomma, solo la pace nel mondo tra i suoi scopi. E questa, che sembrerebbe un’azione neutra, un’influenza sui comportamenti, sulle buone pratiche, fu un impegno concreto, che sarebbe costato caro a Bob. Accettò l’offerta di suonare al concerto Smile Jamaica, organizzato dal Ministro della Cultura per alleviare la violenza tra le due maggiori fazioni politiche isolane, il People National Party e il Jamaican Labour Party. L’isola ha infatti una storia di legami tra le gang e i due partiti, tutt’oggi attestata. Due giorni prima dell’evento, Bob subì un attentato, nel quale furono feriti lo stesso Marley, sua moglie Rita e il manager Don Taylor– quest’ultimo fu portato a Miami in aereo per la rimozione di una pallottola nella spina dorsale-. Alcune fonti, sostengono che il killer fosse stato assoldato dal Labour. Nonostante questo, Bob si presentò sul palco e suonò, tra le altre, “War” davanti a 80000 persone.

Nel ’79, dopo essere partito in un esilio volontario dalla Giamaica, uscì l’album Survival, in cui figurava Ambush in the night, con riferimento all’attentato subito. L’anno seguente sarebbero morte 500 persone negli scontri politico-gangster dell’isola; altre fonti dicono che i morti furono 800.

 

One Love Peace Concert

Bob Marley tornò nel 1978 nella sua terra natale. Quella che venne definita la “Woodstock del Terzo Mondo”, il One Love Peace Concert aveva come scopo far cessare le violenze tra le opposte forze politiche, così come lo Smile Jamaica. Venne fuori da un’idea di Claude Massop (Labour) e Aston ‘Bucky’ Marshall (PNP), due gangster rivali a servizio delle due fazioni politiche, che volevano appianare le tensioni nella carneficina giamaicana. Entrambi moriranno di morte violenta e l’effetto pacificatore del concerto non avrà grandi risvolti.

Bob riuscì, però, a mettere insieme in quel giorno i due grandi rivali dell’epoca, il leader dei Labour  Edward Seaga e Prime Minister  PNP Michael Manley, congiungendo le mani dei due in una storica posa fotografica e pronunciando un discorso per la riconciliazione. Per questo motivo il 6 giugno 1978 gli venne consegnata la Medaglia della Pace all’Onu.

 

Giulio Pitroso

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