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Una Resistenza tutta siciliana

“[…] Piccole cose quest’Italia meridionale e insulare ha compiuto in questi anni di sventure, ma l’ha compiute con anima sincera e modesta, e non pretende la riconoscenza nazionale. E poi, ha anch’essa i suoi eroi e i suoi martiri della lotta per la liberazione. Infatti là dove si sono verificate le condizioni, il popolo del Mezzogiorno è insorto e  ha pagato col sangue il suo riscatto.[…]”.

Questo scriveva Alfio Russo, primo  direttore responsabile de “La Sicilia”, in merito alla Resistenza italiana e siciliana al nazi-fascismo, ribattezzandola nei suoi articoli Nuovo Risorgimento. Già a pochi mesi dalla Liberazione, mentre tutto era ancora in fermento, si parlava di diversa resistenza, di poca partecipazione del Mezzogiorno. Una storia sulla Resistenza del Meridione non è mai stata scritta o, se è stata scritta, non è mai stata adeguatamente pubblicizzata; gli eventi che maggiormente vengono ricordati dai testi sono le eroiche quattro giornate di Napoli e le insurrezioni popolari. Solo recentemente sono stati condotti studi che certifichino storiograficamente la partecipazione del Sud, tentando di insabbiare una credenza molto radicata dell’opposizione “vento del Nord” contro Sud immobile.
Diversa è la Resistenza compiuta nelle due parti d’Italia perché diverse erano le condizioni economiche, politiche e sociali di queste. Al Nord era presente un sistema produttivo basato sulle industrie metalmeccaniche  e siderurgiche,  nelle campagne vi era un’organizzazione lavorativa e produttiva di stampo industriale e gli operai iniziavano ad avere una coscienza sociale, incoraggiati e sostenuti dal PCI. Al Sud regnava ancora il sistema latifondista di stampo feudale, che vedeva il contadino come servo della gleba, assoggettato al grande proprietario terriero, pochi erano i centri industriali. Non dimentichiamo, poi, le miniere di Zolfo, dove le condizioni di lavoro erano disumane anche per i bambini.                                                    La Resistenza settentrionale prese vita quando forze politiche formate da persone diverse per ideologia si ritrovarono unite nel cacciare fascisti e tedeschi dal Paese. I maggiori partiti antifascisti confluirono nel CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) per organizzare meglio le forze nelle diverse città, ovviamente fare ciò non fu semplice date le condizioni di segretezza, la scarsità di mezzi e la difficoltà della comunicazione tra le varie parti. Nonostante ciò, il movimento della Resistenza si estese e si rafforzò e nacquero, di città in città, i vari gruppi partigiani, che da bande passarono a vere e proprie brigate come quella “Matteotti”, “Garibaldi” “Giustizia e Libertà” ecc., mentre nelle città nacquero le SAP e le GAP, atti a operazione di sabotaggio e guerriglia urbana. Mentre, come vedremo, al Sud mancherà questo tipo di organizzazione e diverso sarà il modo di operare nell’intento della liberazione.                                                                                                               Già dal 1921 in Sicilia e nel resto del Mezzogiorno troviamo documentata l’azione violenta delle squadre fasciste contro i moti popolari, appoggiata dalle istituzioni dai latifondisti e dalla stampa ( il quotidiano palermitano “Giornale di Sicilia” fu ridotto per 17 anni a  organo ufficiale del PNF sull’isola). La repressione fascista aveva come oggetto non solo il popolo ma anche e soprattutto militanti comunisti e socialisti che si organizzavano clandestinamente. La situazione sociale ed economica rendeva la Sicilia una bomba ad orologeria e, di fatto, dopo lo sbarco alleato, esplose. Poiché con la venuta americana nulla cambiò, vennero messi ai vertici dell’amministrazione i vecchi gerarchi fascisti e i grandi proprietari terrieri, qui entrò in gioco la malavita che fu usata per cercare di ammansire il popolo non più ingenuo come prima, a causa delle tensioni dovute alla crisi post- bellica e grazie alle spinte del PCI. Bisogna sottolineare anche l’elemento antitedesco: dopo la caduta del fascismo anche le città divennero teatro di scontri, la prima scintilla del nuovo fronte bellico scattò prima dell’armistizio in un paesino vicino Catania, Mascalucia; un furto e una razzia compiuti da due militari tedeschi provocò, prima, uno scontro con i soldati italiani e, poi, una vera e propria rivolta popolare contro i nazisti, alla quale si unì un numero esiguo di cittadini e militari, e che vide perdite da ambedue le parti e terminò con la mediazione del comando dei carabinieri. Dopo la dichiarazione dell’armistizio l’8 settembre 1943, in numerose città ci furono atti di resistenza contro i tedeschi. L’avanzata americana verso il Nord fu lenta e favorì un rinvigorimento delle truppe tedesche, che iniziarono una serie di saccheggiamenti, razzie, stupri e soprattutto eccidi di civili e militari. Uno studio recente attribuisce cotanta violenza a un accumulo di rancore tedesco verso la traditrice Italia. Anche in questi episodi rintracciamo una differenza di comportamento tra Nord e Sud in quanto tali misfatti che furono compiuti anche al Settentrione, lì furono oggetto di indagini, mentre nel Mezzogiorno caddero nel dimenticatoio.
Un altro apporto alla Resistenza da parte del popolo meridionale è dato dalla presenza di migliaia di meridionali nelle file partigiane delle Alpi e degli Appennini. Insomma, la partecipazione del Sud alla Resistenza ci fu, con modalità diverse e peculiari ma ci fu; la differenza sostanziale sta nel fatto che al Sud si può parlare di una vera e propria “Guerra di classe”, dove il popolo si ribellava sostanzialmente per i propri diritti, per la propria vita viste le condizioni sociali ed economiche. Tuttavia una parte importante resta l’apporto meridionale a quella che è la Resistenza nella sua accezione nazionale.

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