Non sono parecchio abituata a scrivere in prima persona ed è forse per questo che digito e cancello ogni 30 secondi, ogni volta che riesco o provo a comporre logicamente una sequenza di pensieri grammaticalmente corretta o minimamente congrua a una porzione dei miei pensieri al momento.
L’attività svolta con i miei colleghi ma prima di tutto amici (nonostante non abbia avuto la possibilità di estendere a sufficienza le conoscenze oltre il nucleo ragusano o quasi) è stata il canale di sfogo e drenaggio di pensieri, misti a capacità latenti, confusi, repressi o soltanto restii a volersi svelare da sé.
Generazione Zero ha rappresentato il prototipo del progetto giornalistico giovane, reattivo e pulsante, interessato a ciò che accade per come accade, per chi accade, per dove accade.
Senza troppi fronzoli mi sono personalmente ritrovata a condurre inchieste, a fare interviste, utilizzando ogni mezzo avessi a disposizione, ogni parola potessi annotarmi e potesse essermi utile (o inutile) al momento dell’azione. Perché di questo si tratta: agire. Agire sfruttando al massimo le proprie personali abilità, combinandole con le altrettante degli altri componenti, formarsi ma, nel contempo, informarsi in uno scambio di idee e saperi veicolato dalla volontà di fare giornalismo. Di arrivare al cuore del problema senza bisogno di alcun trapianto o sutura, perché è integro e da integro verrà messo a disposizione di chi, per interesse o curiosità, vorrà fruirne e studiarne a sua volta.
Ciò che si è venuto spontaneamente a creare è stata una..catena di montaggio. Magari utilizzo la metafora sbagliata, poiché nell’immaginario collettivo novecentesco la catena di montaggio era il luogo asettico, extraumano e meccanico, dove non c’era alcuno spazio per l’espressione emotiva del soggetto.
No, decisamente sbagliata. Ciò che è scaturito da una proposta colta al balzo è stata un’istallazione. Un’istallazione artistica che, per quanto possa risultare fittizia, studiata e meticolosamente proporzionata, è espressione dell’immaginario, della sfera emotiva di chiunque vi abbia scelto di contribuire.
Ecco, quello di cui sono e sono stata parte per quest’anno è stato un quadro, uno scenario che si cela tanto fra trame e tele quanto fra sintagmi e parole. Un dipinto a tinte variabili eppure così brillanti da essere loro stesse forma ed espressione di quella carica emotiva che ci ha guidato, senza non pochi sforzi, alla conclusione di questo progetto. E all’auspicabile inizio di un altro.
Marta Cafiso
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