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Memorie dal 15 ottobre: anche la pace va in fiamme- Testimonianza diretta

16:30 Al nostro arrivo a piazza San Giovanni è subito evidente che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Le migliaia di persone già arrivate con la prima parte del corteo stanno ritte, cupe, silenziose, tutte con lo sguardo rivolto verso la fine della piazza, dove sbuca Viale Emanuele Filiberto. I boati ci riportano alla triste realtà, quella che avevamo rigettato in via Merulana. Il fumo sale, ma è un fumo acre, quasi trasparente, irrita gli occhi…stanno caricando! La piazza è gremita, ma impotente di fronte alla guerra che sta coinvolgendo i manifestanti più violenti e le forze dell’ordine. Ma c’è chi non vuole cedere al baratro. Un gruppo di musicisti colorati improvvisa una musica infinita, attorno alla quale si aggrega tutto il corteo civile, pacifico. Partecipo anch’io, con i miei flowersticks. Di fronte alla Basilica rinasce il corteo festoso ed indignato! Ma la favola viene infranta da un fitto lancio di lacrimogeni, che fa indietreggiare i violenti e infrange definitivamente le speranze della maggioranza dei manifestanti, che cercano quindi di fuggire dall’incubo. Ormai sono sempre meno quelli disposti ad assistere allo scempio di una lotta fine a se stessa, ad un conflitto creato da chi lo voleva, senza alcun obiettivo. Pura estetica! Io non ci sto! Adotto una bandiera della Pace abbandonata nel precedente parapiglia. Ma non sono l’unico.
Cinque o sei ragazzi si sono seduti esattamente in mezzo alla piazza e con le mani alzate gridano il loro ripudio alla violenza. Mi siedo anch’io. Continuamo a urlare, assieme, un “no alla violenza” che si fa sempre più forte, perchè ora siamo in dieci, poi in venti, poi trenta, quaranta. Qualcuno dice che dobbiamo andare avanti, dobbiamo farci vedere di più, dobbiamo bloccare gli scontri. La maggior parte di noi si alza è avanza sempre con le mani alzate, sempre gridando. Ci risiediamo alla fine della piazza appena prima dell’asfalto, a 3 metri dai continui caroselli della polizia. La nostra presenza porta quiete nella parte di piazza verso Viale Carlo Felice, ma verso il nord della piazza continua imperterrita la guerriglia. Viene presa una decisione difficile, alla quale solo alcuni di noi prendeno parte: dirigersi a mani alzate verso gli scontri. Alcuni violenti rimangono interdetti dal nostro arrivo, esattamente fra i due fuochi. La polizia approfitta della situazione caricando. Io decido di inginocchiarmi a terra, lì dove sono…non arretro. Prima un calcio sulle costole, poi un poliziotto mi alza e mi urla di andar via, di salvarmi. Mi inginocchio di nuovo, schivo alcune manganellate…i poliziotti sono ora all’interno della piazza erbosa. I compagni con le mani alzate avanzano nuovamente, ci ricompattiamo, li stiamo facendo indietreggiare! Dobbiamo però stare attenti anche agli altri manifestanti, quelli violenti, che dietro di noi ricominciano la sassaiola. Cerchiamo di fermare anche loro. Riusciamo a respingere il plotone di 50 poliziotti in poco più di una ventina. Ma questa volta ad approfittare di noi sono i violenti. Il territorio conquistato va difeso e iniziano a portare avanti le transenne, incuranti del fatto che quasi a contatto con le forze dell’ordine ci siamo noi. Qualcuno di noi se ne accorge, riesce a sgusciare prima di venire chiuso…io invece me ne accorgo tardi. Sono il più avanti di tutti, a due metri dal primo finanziere armato di scudo e manganello…e come ogni onda che avanza, c’è poi la risacca. Solo allora mi rendo conto di essere intrappolato, due transenne, per di più unite, mi condannano alla carica. Riesco a schivare le prime manganellate, ma non si può indietreggiare oltre. Stavolta il manganello mi prende dritto in testa, intontito perdo l’equilibrio e cado a peso morto all’indietro portando con me le transenne. Fortunatamente, vuoi che si erano resi conto che non ero uno dei violenti ( non portavo il casco), vuoi per il rapidissimo intervento di quelli alle mie spalle, vengo rialzato e ancora confuso continuo ad urlare a mani alzate “no alla violenza”. Mi riapproprio della bandiera della Pace, prestata in precedenza ad un compagno, e continuo a sventolarla. Ormai è tardi, devo raggiungere la metrò per recarmi ai pullman. Mentre sto uscendo attraverso Porta San Giovanni, mi accorgo che un gruppo di persone ha ricominciato a manifestare pacificamente al centro dell’incrocio davanti alla piazza, proprio di fronte ad un plotone delle forze dell’ordine. I semi sparsi stanno dando i loro frutti.
16:20 Abbondono la piazza, la mia piazza, la piazza di un corteo immenso di più di 200.000 persone, la piazza che, a causa di chi sostiene di adoperare l’unica modalità possibile per il cambiamento, è stata persa, la piazza che avrebbe potuto essere la nostra Tahrir, la piazza che ora è ritornata ad essere, come prima, solo un mosaico di pietre, erba e asfalto…o nemmeno quello.

Di Davide Quagliotto

2 Comments

  1. Monsieur en rouge Monsieur en rouge 20/10/2011

    Una bella testimonianza, come tutte le testimonianze dirette.
    Però non posso che notare qualcosa che non va nella frase «si erano resi conto che non ero uno dei violenti ( non portavo il casco)». Il casco non è un’arma, neanche un’arma impropria. Smettiamola con la retorica repubblichista del 14 dicembre (e non è nata neanche allora) che divide troppo facilmente il corteo di manifestanti in buoni e cattivi. La realtà non funziona così. Non è un casco che rende violenti.

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