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Generazione Zero

Di Giulio Pitroso

La Sicilia è irredimibile, diceva qualcuno, un certo Sciascia. E’ una terra disperata e, diceva qualcun altro, disperata è la terra che ha bisogno di eroi. Di certo, di eroi quest’isola ne ha partoriti, fossero anche solo ragazzi, ammazzati barbaramente, fossero di Cinisi o di Ragusa. Ma, evidentemente non è bastato. E non basteremo noi, che non siamo nemmeno lontanamente degni di parlare di questi personaggi. Il nostro più grande nemico non è fisico e non è la mafia, non è il politico di turno. Noi abbiamo come nemico questo grande vuoto generazionale e l’incertezza sul vero significato delle nostre lotte, l’indifferenza dei coetanei, l’impulso irrefrenabile all’emigrazione.
Siamo, in fondo, tutti portati a guardare problemi lontani, che hanno a che fare con Assange, con il petrolio americano, con le vicissitudini giudiziarie di svariati ministri, anche se abbiamo maggiori disgrazia davanti a noi. E’ un po’ come il dito davanti all’occhio. Uno, quasi, non ci fa caso. Ci siamo talmente abituati a vedere la superficie lunare delle strade, che non ci chiediamo più chi appalti i lavori pubblici. Ci siamo abituati a dover passare due ore in bus per fare cento chilometri, che non ci chiediamo di chi siano i mezzi di trasporto. Ci siamo abituati a tutto.
Lottiamo prevalentemente contro i mulini a vento e, in cuor nostro, li preferiamo, perché sappiamo già di non dover rischiare molto a farlo. Perché in fondo i mulini, anche se fossero giganti, non verrebbero mai turbati da quello che stiamo facendo.
Eppure, non ci possiamo dimenticare dove viviamo. La nostra stramaledetta isola, che non è isola in un mare di luce, ma in un mare di merda, è la nostra realtà. E spetta a noi raccontare questa realtà, sia pure soltanto per non morire nell’abitudine, per non diventare come tutti gli altri. Ecco quale è il punto: è meglio non farsi illusioni, il nostro obiettivo non è cambiare la testa alla gente, ma evitare che crescano ragazzi marci e che anche noi, con il tempo, ci riduciamo ad essere altre pedine e pupi. Insomma, noi non facciamo l’interesse di tutta la collettività, ma principalmente il nostro, perché, a quanto pare, la collettività non s’indigna, non riflette e non cambia parere. E, quando lo fa, lo fa per poco tempo, poi dimentica, ritorna alla sua vita e dimentica chi gestisce i giornali siciliani, chi mette le mani sugli aeroporti e sulle strade. E se non lo dimentica, fa semplicemente finta di nulla. Calati iuncu ca passa a cina.
Non potremo mai affrontare in campo aperto il sistema malato siciliano, che non è solo criminalità. Dovremmo fare acquisti diversi, prendere mezzi di trasporto diversi, comprare giornali che non si possono trovare, perché la distribuzione non lo permette; eppure non basterebbe. La nostra unica risorsa sono le nostra capacità, investire su di noi, sul nostro essere migliori, perché chi ha un posto di lavoro grazie a una raccomandazione sia sempre battuto sul mercato, sia sempre battuto nella vita. La nostra risorsa sono i ragazzi che non sono ancora diventati abbastanza cinici da non sentire più nulla.
Certo, paghiamo il prezzo dell’emigrazione, paghiamo il prezzo dell’ignoranza atavica di un numero strabordante di cittadini siciliani. Ma non ci si può arrendere. Non è chi ha più risorse che vince, né chi è in numero maggiore, ma chi sa immaginare il futuro, chi non ha perso la progettualità: ecco perché noi non vogliamo solamente narrare, ma anche progettare. Noi sappiamo immaginare una terra migliore e vogliamo che le cose cambino nel modo in cui le immaginiamo.

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